"Un colpo di frusta produce lividure, ma un colpo di lingua rompe le ossa."
(Sir 28,17)
Nella comunità, usiamo spesso questo semplice passaggio per aprire un nuovo ambito di riflessione sul mistero della flagellazione di Cristo. È facile pensare che non ci saremmo uniti ai soldati nel frustare la schiena di nostro Signore – ma ci tiriamo indietro con lo stesso orrore dal scagliarci contro le membra del Suo Corpo alle loro spalle?
Come parliamo delle altre persone?
Non è una questione irrilevante; come ha sottolineato un fratello, san Giacomo dice che "Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo." (Gc 3,2) e san Paolo avverte che i calunniatori [se non si pentono] non entreranno nel regno di Dio (cfr 1Cor 6,10).
"Ma è la verità", potremmo essere tentati di dire se chiamati su un'osservazione acuta che abbiamo fatto su qualcun altro. Forse lo è. (E forse non lo è. Quante volte cadiamo nel giudicare ed etichettare i motivi invisibili della persona quando è solo Dio che può vedere il cuore? – cfr 1Sam 16,7) Ma anche se lo è... c'è bisogno di dirlo? Non dovremmo piuttosto "coprire la nudità", per così dire, del nostro fratello, quando Cristo ha dato la sua vita per coprire la nostra?
Ci sono due punti semplici ma veramente luminosi che ho sentito in comunità riguardo a questo argomento che possono letteralmente trasformare le nostre relazioni e comunità.
1) Giudica l'azione, non la persona. Dobbiamo, naturalmente, saper distinguere tra il bene e il male, tra ciò che è peccato e ciò che non è peccato, il che significa che dobbiamo essere in grado di giudicare le azioni di un'altra persona: dopotutto, Gesù dice di giudicare con retto giudizio (cfr Gv 7,24). Ma la persona non è soggetta al nostro giudizio; Solo Dio è il Giudice (cfr Gc 4,12). Mentre c'è vita c'è speranza: la persona può sempre cambiare.
2) Praticare la correzione fraterna. Se qualcuno fa qualcosa di sbagliato, la reazione umana (caduta) è spesso quella di discuterne con tutti gli altri... tranne che con la persona interessata! Non è così che Gesù ci insegna a reagire. Invece, ci insegna ad affrontare direttamente il problema: prima faccia a faccia con la persona che ha sbagliato, poi (se necessario) con qualcun altro come testimone; poi davanti a tutta la comunità (cfr Mt 18,15ss) – ma con misericordia e amore, riconoscendo i pregi della persona e incoraggiandola a fare sempre meglio.
Quanto questi due punti caratterizzano i nostri pensieri, conversazioni e relazioni?
Spesso, quando pensiamo al "digiuno", pensiamo al cibo – una privazione, non solo dello stomaco, ma della lingua. Potremmo concentrarci, in questa Quaresima, su un altro "digiuno" della lingua – da un discorso falso o poco edificante?
"Il pettegolezzo è una cosa molto umana, dicono. – E io rispondo: dobbiamo vivere in modo divino".
(San Josemaría Escrivá, "Solco", n. 909)
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